lunedì 29 agosto 2016

Ombre di Flusso

Non è che non voglia, sarebbe sbagliato pensare una cosa del genere.

E’ che non so a cosa possa portare tutto questo, e lo so che non serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta e cose così, ma conosco il rapido susseguirsi di paesaggi sempre meno stranieri che osservo con occhio spento attraverso vetri spessi e sporchi delineando un quadro opaco al di là di questi,  e saranno questi dettagli e nient’altro che  in un domani potrebbero farmi pensare a questi momenti come ad un sogno effimero e indefinito. Con la schiena poggiata alla meno peggio contro la parete, perso in un apparente stato di tranquillità senza scompensi, cercando di ignorare tutte le domande che si affollano dentro, che ti fanno invertire il flusso del sangue.


E davanti a me la strada, con le luci che vanno e vengono da lampioni vecchi di cinquant’anni, la mia ombra che ad intervalli irregolari mi accompagna nel cammino, perso fra pensieri a cui non riesco a dare un senso preciso.


Il gusto della vittoria appena conquistata è un sapore effimero, capisci? Col tempo viene fiaccato dal cielo grigio, il sole incerto, l’aria rarefatta. E dalle attese.

Ed i silenzi, in ambienti così grandi e vuoti che dubiti della loro utilità. Ti trovi lì, a sbirciare trasversalmente i titoli di prima pagina del quotidiano che sta leggendo qualcuno che è lì di passaggio. Oppure ascolti la tua musica silenzioso e incerto, cercando un quattro quarti adatto a decodificare le sensazioni di assoluta incertezza che provi in quel momento. Ma guai a chiamarla paura.

E poi, sai dirmi con precisione quanto potrà confortarmi un sorriso, mentre ti vedo attraversare la mia vita con la rapidità di un colpo di vento, per poi scomparire per sempre, o magari solo per un po’ di tempo, ma che a volte sa essere ancora più definitivo di un addio.

Perché i ritorni non sono mai delle copie fotostatiche di quello che era prima, e magari potresti non gradire la mia predisposizione dei mobili, forse a me non piacerà più la tua carta da parati. E la più consumata delle routine può diventare come un rastrello lungo la schiena, fino ad acquisire la consapevolezza che forse quelle stelle lassù in cielo non brillano per noi, probabilmente attraversano il nostro cielo con una indifferenza a tratti quasi divina, e l’entusiasmo di far parte di un fantastico puzzle colorato di cui potevo essere il pezzo mancante rapidamente sfuma via, fino a diventare una nube di fumo che si dissolve nell’aria e si trasforma in nulla, come il fiato che fuoriesce dalla bocca di fumatori incalliti.


Sai, spesso percorrere una strada troppe volte è come non averla percorsa mai.


Per cui, fammi accendere questa sigaretta, lascia che la flebile fiamma ci conforti, giusto l’attimo necessario affinché i nostri sguardi, i nostri pensieri, le nostre vite convergano in un denso amalgama, fatto di scelte sbagliate e parole solo sussurrate.


Per quanto lungo, sarà sempre e solo un attimo.





lunedì 25 luglio 2016

E oltre la linea, nessuno.

Cercare l’armadietto dei liquori è impresa assai ardua al buio. L’unica luce che attraversa la stanza proviene dalla persiana scheggiata, ma gli sbiaditi raggi lunari non rendono di certo più rapida la ricca.
L’estate ha colto di sorpresa chiunque stesse pensando ad altro. Improvvisa come il balzo di un grillo, rende più moviolistici i movimenti e ti costringe e bere un Captain Morgan on the rocks, sebbene tu sia un purista del whisky liscio.  
Bè, non del tutto. A pensarci bene nemmeno ti piace poi così tanto, il Captain Morgan. Eppure è l’unica cosa che le tue dita cieche han rinvenuto nell’oscuro armadietto. Per cui bevi, centellinando il liquido e facendone accettare al palato l’ostico sapore.
Non è l’unica cosa che devi imparare ad accettare, probabilmente. Anche se hai smesso di chiederti se ne sarai in grado. Di strada ne hai già fatta tanta e si vede, però per uno come te non è mai abbastanza. Non pensi mai ai chilometri divorati, ma pensi a quelli che rimangono da fare. Approccio magari anche lodevole, se non fosse che non hai la più pallida idea di quanti ce ne saranno ancora da percorrere e la cosa ti fa chiedere se mai ce la farai. Questo ti porta a voltarti indietro una volta di troppo, e a volte la frustrazione può lasciar posto allo sconforto.
Si potrebbe dire che la vita è scandita dalle conquiste, ma sarebbe una cazzata.  Sei convinto che la conquista è solo un episodio, e se viene decontestualizzata da quello che veniva prima e da quello che succederà dopo non ha alcun significato. E tu questo lo sai bene.
Per te la vita la disegnano le guerre, i conflitti. E non solo quelle tracciate con la baionetta o il fucile, quando parli di guerre intendi scontri a tutto tondo, che siano per la libertà della propria terra, per far votare le donne o per sederti sulla poltrona davanti al televisore. Hai sempre ritenuto che i libri di storia contenessero per lo più cronache di guerre, date che hanno portato il mondo in una direzione piuttosto che in un’altra. Quante pagine i libri di scuola hanno dedicato a quella battaglia? E quante invece a quel ritrovato della scienza, a quel vaccino oppure a quella importante innovazione scientifica?
E’ così che va e non deve piacerti per forza. Devi solo accettarlo. Perché se non lo fai vivi nelle illusioni, perché pensarla diversamente ti farebbe affogare con la faccia nella polvere, diventando infine uno sbiadito ritratto di tutto ciò che non vorresti e non dovresti essere.
Non esiste predestinazione, non esistono circostanze convergenti, non c’è nessun filo che lega fra loro gli eventi se non quello che decidiamo noi di creare.

Adesso la notte è piombata completamente su di te. Bevi il tuo Captain Morgan e la bevanda ti rinfresca, ma il ghiaccio ormai sciolto ne ha diluito il sapore, rendendolo irriconoscibile e, se possibile, ancora più indigesto.


giovedì 14 luglio 2016

Ultima - mente.


Tutto gira, evoluzioni di un mondo che non conosce sosta.
Eppure, in tutto questo perpetuo divenire, qualcuno ha bisogno di fermarsi, anche solo per un attimo. Seduto, fermo, gli occhi socchiusi  a fissare la televisione senza audio. Da questa prospettiva, quelli che si muovono all’interno dello schermo sembrano degli scalmanati colorati che si sbracciano senza un reale perché.
Se si osserva fuori dalla finestra, la visione filtrata attraverso i vetri del paesaggio che si trova oltre le mura ne esce deformata, e quello che si prospetta oltre il davanzale è un paesaggio in cui la foschia notturna sembra quasi delineare un linea rossa parallela al terreno, intorno alla quale le abitazioni sparse disordinatamente tutt’intorno ricordano un coro greco che intona una maledetta litania che tende a ripetersi ossessivamente.
Le strade potrebbero essere ammantate da un sottile velo di pioggia che come un miserabile velo di rimpianti si poggia sulle coscienze di quanti già sono caduti nel gentile e invitante sonno notturno.
Potrebbe essere il momento ideale per la ponderazione di ciò che è stato, momento ideale per scuotere i paludosi labirinti di un cervello incapace di archiviare le battaglie importanti, indipendentemente se abbiano portato ad una decadente sconfitta oppure ad una memorabile vittoria.
Perché, alla fine, non esiste sconfitta che non venga irradiata da un seppur labile raggio di sole, che fiaccamente si fa spazio tra solchi di nuvole; nessuna vittoria è stata raggiunta, senza che le spade non siano state battezzate dal sangue.
Sfumature. Come il fumo che lentamente satura l’aria circostante, come il lieve spirare del sole al tramonto, come il sorriso di chi si ama in mezzo ad un folla di nessuno.
In fondo, può essere una sfumatura il cercare necessariamente delle colpe per eventi spiacevoli, dei quali forsennatamente disconosciamo ogni paternità; tuttavia, quando qualcosa finisce, quando una catena si spezza e ne assistiamo alla contestuale nascita di un’altra che rappresenta il nostro triste fardello di miseria, non esistono colpe, non esistono meriti. Non esistono assoluzioni, così come non esistono condanne. Anche se non ci sembra vero, anche se sollevando la maglia troviamo una ferita che non si è mai del tutto rimarginata, rimanendo un cratere di sangue e pus, un appestato monito di certezze che fondamentalmente non sono mai state davvero tangibili.
Può darsi che, attraversando dei labirinti creati dalla nostre presunzioni di consapevolezza, il nostro cervello ne sia uscito deframmentato, il nostro cuore inaridito; ma questo non ci rende automaticamente migliori, non ci rende propriamente dei reduci. Non si può essere guerrieri solo al momento di contare le cicatrici.
Ora è troppo tardi per piangere per le tempeste che ci hanno colti impreparati, è troppo tardi per qualsiasi cosa, tranne che per impedire che un sinistro lascito resti agganciato alle nostre caviglie mentre andiamo oltre.
Possiamo cavalcare l’onda, prendere questo luminoso buio e farci avvolgere dal suo tepore, renderlo il nostro mantello.
Ricordare le azioni, i pensieri e i sentimenti che ci hanno fatto sentire vivi, non dimenticare i motivi per cui abbiamo combattuto, gli amici che sono andati via, le mani che abbiamo strinto, gli abbracci che ancora non sapevamo che sarebbero diventati oscuri preludi di tempeste. Tenere sempre a mente i momenti stessi in cui abbiamo fatto queste cose, l’energia che si espandeva da esse.  Così facendo, non saremmo migliori, non saremmo più forti, ma forse questo paradossale esoscheletro potrà proteggerci da ciò che ci ostacola, e sarà figlio dell’esigenza di custodire ciò che è importante.
Quando pioverà, non ci bagneremo; quando farà freddo, non tremeremo; e potremo continuare a rincorrere i nostri sogni.
L’equilibrio assoluto ed immutabile è per gli sciocchi e per i superficiali. C’è anche chi preferisce camminare sulla precaria corda del continuo osare, anche se essa sembra non finire mai: perché se cade, è pronto ad assumersi le sue responsabilità  E perché in cuor suo sa che è l’unico modo per non fermarsi mai davvero.
Forse è un modo sbagliato di agire, ma forse è anche l’unico modo che si conosce per andare avanti.

C’è chi preferisce provare a disegnare, invece di limitarsi ad abbozzare.
Adesso il sole sta per sorgere, e mentre qualcuno dorme c’è chi è pronto ad accogliere il nuovo giorno, coraggiosamente impettito e con l’occhio fisso verso l’orizzonte.
Anche se la pioggia imperversa, anche se il vento aggredisce il volto.



lunedì 4 luglio 2016

Oltre il Buio, il Silenzio


 << Scusa, me la fai una dedica sul libro? >>

<< Eh? >>, è la mia eloquentissima risposta. Dell’artista eclettico, eccentrico ed entusiasta non c’è più nessuna traccia. Lo sguardo perplesso della ragazzina con una copia del mio nuovo romanzo Oltre il Buio, il Silenzio mi fissa con una nota di disappunto, accompagnato da quello dell’editore, in piedi accanto a me da questo lato dello stand della casa editrice.
Eppure, mentre firmo la prima pagina della mia ultima fatica non riesco proprio a far caso  a questa sinfonia di occhiate. Da quando sono arrivato alla Fiera del Libro di Centullia, il mio stato d’animo è stato sempre assente.
La causa, inutile dirlo, sono le minacce che sto ricevendo da quando è uscito il libro.
Lettere e telefonante anonime, in enorme quantità. 
Tutto è cominciato all’indomani della presentazione del mio nuovo romanzo -  Oltre il Buio,  il Silenzio, per l’appunto. E’ il primo lavoro che scrivo da solo e parla di violenza domestica.  Racconta la storia di un marito burbero e ubriacone, delle angherie e soprusi a cui sottopone sua moglie.
L’accoglienza è stata fantastica, i primi dati di vendita  incoraggianti. L’editore gongola, eppure da quella maledetta presentazione la mia serenità si è incrinata. Ho cominciato a ricevere telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte, e quando rispondo non sento nulla. Solo un inquietante silenzio, scandito dal brusio della linea telefonica. Stessa cosa per le lettere: le trovo sotto casa, senza mittente. Dentro, solo un foglio bianco.
Sono cose che ti agitano. Se ricevessi minacce o insulti, capirei da che direzione arriva la tempesta. Cercherei di prepararmi. Come in un incontro di pugilato, tenterei di schivare il colpo successivo. Invece il silenzio, il non dire, è inquietante. E’ uno spazio bianco che può essere riempito da ogni tipo di scarabocchio frutto della  paranoia.
Reazioni negative al mio libro? Fans delusi? Sensibilità ferita di qualche lettore? Tutto può essere, e non può essere niente. Se a questo si aggiunge che sono una persona tendenzialmente paranoica, il gioco è fatto.
Mio padre, quando ero ragazzo, era solito dirmi come  fossimo ipertesi, noi in famiglia. Ci agitiamo per un nonnulla, diventiamo schiavi di pensieri ossessivi e viviamo in funzione di questi.
Infine, quando la tensione si fa insopportabile, ci esce sangue dal naso. A fiumi, sinistro preludio di un qualche evento negativo.
A queste considerazioni paterne ho sempre risposto con delle risate, trovando il tutto esagerato e fantasioso. Crescendo, ripensavo all’aneddoto con aria di superiorità, ritenendomi un esempio felice di mosca bianca.
Ma adesso la tensione  è diventata davvero lancinante, taglia il respiro con un coltello dalla lama incandescente.
Improvvisamente, senza che me ne rendessi conto, sono finito nella rete delle asimmetrie comportamentali della mia famiglia.
In cuor mio so che non dovrei dar peso a questi tentavi di turbare la mia serenità, limitandomi a godere il successo che sta avendo il mio nuovo libro.
Eppure, sono qui a firmare le copie di Oltre il Buio,  il Silenzio grigio in volto, le mani che mi tremano, lo sguardo assente.
Va avanti così da quando è iniziata la fiera, e non accenna a migliorare. Di tanto in tanto stacco e mi allontano dello stand, avanzo stancamente nel passivo sciamare di lettori,  scrittori del calibro di Davide Reale, Orlando Nevi, Simone Pazzini e critica impegnata, arrivo all’Area Pro, dove come sempre hanno finito tutto, e bevo un caffè. Non saluto nessuno, nemmeno Cosimo Dintorni, new sensation delle graphic novel, con il suo nuovo libro appena uscito che non mi ricordo come si chiama. Tuttavia il fumettaro mi ferma, sembra aver voglia di uno scambio intellettuale, al contrario di me. Offre un sorriso posticcio da occasione formale, mentre mi fa i complimenti sul libro, facendomi però notare delle ingenuità su alcune trovate narrative. Prova addirittura a spiegarmi come le ha risolte lui sul suo ultimo lavoro. Io sorrido di rimando, molto debolmente. Non ho la serenità per un competitivo scambio di battute: gli faccio i miei complimenti e lo saluto, non prima di avergli comunicato di essere sicuro della superiorità del suo ultimo libro rispetto al mio. Dopodichè, riprendo la mia marcia. Cosimo Dintorni non sembra gradire, ma non mi interessa.
Così, attraverso con passo incerto gli antichi archi di Castello Verlucchi, sede dell’evento letterario in cui sono ospite, rifuggendo istintivamente dalle zone più isolate, dove l’ombra delle volte si incrocia con le correnti d’aria. Torno alle mie dediche, alle mie frasi scelte preventivamente e da trascrivere in serie sulla seconda di copertina, che realizzo passivamente, come se stessi ricalcando qualcosa già delineato da altri, magari più bravi di me.
Vengo sradicato con forza dalla sedia solo quando arriva il momento della consegna dei premi. Arriviamo all’auditorium, e al mio ingresso tutti mi guardano, o almeno così mi sembra. Sento centinaia di sguardi cozzare contro il mio volto, una corrente di corpi mi si contrappone da ogni lato; per quanto la sala sia grande, lentamente ma inesorabilmente si fa strada dentro di me un inesplicabile e claustrofobico senso di oppressione.
Comincio a sudare, la testa mi gira. Mi sento come se non ricordassi più nulla, il cuore vuole uscirmi dal petto. Non trovo più né l’editore né nessun altro che conosco, di colpo mi sento intrappolato in una gabbia piena di manichini.
Questo delirio sembra interrompersi solo quando, improvvisamente, mi sento strattonato verso una direzione precisa. Cerco di opporre resistenza ma ugualmente attraverso quella via immaginaria alla stregua di un confuso e lacerato frangiflutti, una strada che mi porta dritto sul palco.
Da questa prospettiva rialzata vedo i manichini applaudire all’unisono, senza smettere di fissarmi. Cosa vogliono? Che succede?
Un manichino lungocrinito in doppiopetto si avvicina, mi consegna un premio, farfuglia qualcosa di incomprensibile dalla mia ottica distorta. Infine avvicina un microfono, e improvvisamente sopraggiunge un silenzio agghiacciante, di attesa.
Tutti si aspettano che dica qualcosa, ma cosa?
Mentre mi inumidisco le labbra asciutte con la lingua provando a dire qualcosa, qualsiasi cosa, avverto una strana sensazione di umido sul labbro superiore, che lenta scende sul mento.
I manichini negli spalti sembrano agitati, qualcuno sussulta, non capisco il perché.
Infine, lo vedo.
Macchie di un rosso intenso coprono le mie scarpe e la mia camicia. Istintivamente mi passo una mano sulla faccia, ma già capisco cosa sta succedendo.
E’ sangue. Il mio sangue. Esce dal naso e si fa spazio sul mio volto, sui miei vestiti, per terra, creando una incrinatura cremisi sulla mia sagoma confusa e disorientata.
Faccio cadere il premio e lo vedo spaccarsi in tre monconi asimmetrici, si spargono alla rinfusa sul palco, imbrattandosi  irrimediabilmente con il mio sangue.
Totalmente in panico, prendo e scappo via, facendomi spazio ad ampie falcate tra la folla.
Cerco di fuggire sì, ma non so dove e non so da cosa, cerco la solitudine, apparendomi in questo delirio di lucida follia la mia unica possibilità; ma la sfilata della giuria che ha voluto che io vincessi il premio è alle porte, e improvvisamente mi trovo soffocato tra cloni di eccentrici alternativi dalle giacche buffe e i baffi da prima guerra mondiale. Mi costringono a rallentare la marcia, sempre di più, sempre di più, finché non mi fermano del tutto. Allora urlo, spintono, mi creo con la forza della disperazione un varco, mentre sento il sangue continuare ad uscirmi copioso sul volto, lo sento ricoprire una porzione del collo.
Alla fine riesco ad allontanarmi dalla gente, correndo imbocco un paio di corridoi che mi sembrano meno frequentati, dove stanno le autoproduzioni.
Mi sento in trappola, sensazione accentuata dalla fuoriuscita del sangue che non accenna a diminuire. Che colpe ho commesso? Io nemmeno lo volevo scrivere, il nuovo libro! Ho deciso di dedicarmi interamente alla scrittura solo per guadagnare di più! Lo sapevo che non dovevo cimentarmi!
Le pareti verniciate di bianco da qualche imbianchino sbronzo lasciano spazio a mura di mattoni risalenti a tempi antichi. Intorno a me vedo sempre meno gente, salgo qualche gradino, fino a quando non mi sento i polmoni bruciare.
Alla fine mi fermo, mi sporgo da un affaccio che dà una veduta quasi completa su Centullia. Il mare, l’alternarsi di grattacieli e costruzioni improvvisate, la lieve brezza che mi sfiora il volto ormai reso irriconoscibile dalla fatica, dalla paura e dal sangue. Lentamente, cerco di ritrovare la calma e raccogliere le idee.
Mi passo una mano sulla faccia, ne ritrovo il palmo dipinto di rosso ma la cosa non sembra turbarmi più, mentre il respiro si fa pian piano più cadenzato.
Improvvisamente, qualcuno mi tira per una spalla, spingendomi a voltarmi senza possibilità di resa. Prima che mi renda conto di che cosa stia succedendo sento un corpo estraneo spingersi nel mio petto. Senza esitazione mi penetra nella carne, e un caldo dolore parte dalla zona della ferita fino a espandersi su tutto il corpo.
E’ una lama, mi entra nel petto nella sua interezza.
La mia bocca si spalanca, ma non ho più la forza nemmeno di gridare, le parole mi muoiono in gola come se non fossero mai esistite. Il sapore di sangue è l’ultima cosa che sento.
Sto per morire, e l’ultimo sguardo è per il mio carnefice. Lo riconosco, è Cosimo Dintorni. Lo sento biascicare qualcosa sul mio libro, non decodifico le parole usate, ma solo il suo tono rabbioso. Capisco che si riferisce al premio che ho appena vinto.
Dopodichè, chiudo gli occhi. Non c’è più spazio per la paranoia, per l’ansia o per il dolore. Solo il buio.
E oltre il buio, il silenzio.
                                                                                              








domenica 3 luglio 2016

Realmente no.


Sì, i sogni di gloria, le prime file nei comitati che contano, i posti giusti ai quali presenziare. Ma poi ci sono anche i post sbronza dell’idolatria, gli artifici e i raggiri, il sole che non è mai luminoso come te lo ricordi, fino ad arrivare ai figli da prendere sotto scuola e la fila alle poste. Per cui fai quello che vuoi di te stesso, tanto quando stai in piedi di te riesci a vedere solo l’ombra.

lunedì 6 maggio 2013

Do not resuscitate!



Da un certo punto di vista i libri possono essere accostati ai dischi.
Il primo disco, quello d’esordio, a volte esce un po’ grezzo e acerbo, ma per molti è l’album storico, quello che si cerca sempre di eguagliare, invano.
Il secondo forse è quello più difficile, perché tocca riconfermarsi a certi livelli, avverti la pressione, capisci forse finalmente dove ti trovi, ti aggrappi dove riesci e cerchi di fare il meglio che puoi, magari ancora un po’ sotto l’ombra del tuo esordio.
Il terzo invece dev’essere un disco che fa storia a sé. Non hai scusanti, ormai non sei più di primo pelo, hai sufficiente esperienza alle spalle per non avere attenuanti e se fai una porcheria la colpa sarà solo tua e dei tuoi limiti (artistici o mentali, cambia poco a conti fatti).

 Quando uscii con Stupidomondo, mi sembrava tutto una vallata di caramelle; ero felice per il solo fatto di essere lì, con il mio libro. Assieme a Mauro Cao (il disegnatore) abbiamo dato vita al prodotto più sincero, vero e appassionato di cui eravamo capaci.
Con Rockin' Roads l’entusiasmo era sempre altissimo, ma connotato da una venatura di consapevolezza che all’esordio era assente: guardi tutto quello che hai intorno con maggiore obiettività, non ti limiti a gongolare ma cominci anche a farti delle domande. E ascolti pure le risposte, seppure a volte non sono necessariamente belle.
Perché fondamentalmente ti trovi sempre di fronte allo stesso contesto di prima, ma con ogni probabilità sei tu ad essere cambiato: la gioia di essere lì con il tuo nuovo lavoro è sempre la stessa, ma è una gioia più “adulta”, più cosciente e meno euforica, e se hai la necessaria lucidità ti permette di vedere le cose per quelle che sono effettivamente, non per come le hai sempre immaginate o come avresti voluto che fossero. Così ti guardi con occhi più avveduti e vedi quelli intorno a te - editori, addetti ai lavori, autori - con i loro pregi e i loro difetti.
Ti prendi il tuo tempo, giusto per realizzare che anche quello che hai sempre pensato come a un mondo fatato e luminoso abbia i suoi magheggi, i suoi opportunismi e i suoi “lati oscuri”. E poi ne prendi atto. Che altro puoi fare?

Insomma, su queste basi dopo un po’ può anche essere che ti venga voglia di lavorare a qualcosa di assolutamente diverso. Personalmente non ho mai capito quegli autori che tendono a fare sempre le stesse cose, per anni, solo perché gli riesce più o meno bene o perché – molto più realisticamente – si tratta di quei prodotti paraculo che tanto vanno oggi.
Avevo questo progetto a cui stavo lavorando da anni. Con il tempo ha subito tantissimi interventi da parte mie e altrettanti sono stati i disegnatori che si sono avvicendati alla realizzazione, fino ad arrivare alla configurazione attuale.
E’ un lavoro che ha richiesto molto studio, molta attenzione e moltissima fatica e tempo. Ringrazio pubblicamente la NPE per averci creduto e avermi aiutato nel portarlo a termine.
Un po’ di informazioni tecniche: il libro si chiama IL SESTO – La vita, l’amore e l’immortalità di Trevor Between, ed è disegnato da una Francesca Follini in stato di grazia. Siccome c’è chi è più bravo di me nel presentare la mia roba, ne riporto testualmente il comunicato:

 L’opera racconta la storia del discendente diretto di Lazzaro, Trevor Between, uomo incapace di morire, che ha attraversato le diverse epoche del tempo, amando e poi perdendo svariate donne. Ma la perdita dell’amore vero, quello per Alison, donna della sua vita perita in un incidente stradale, non può proprio sopportarlo: di qui un viaggio oltre la morte, scavando nel proprio passato e nei propri ricordi, per tentare di far tornare in vita l’unica vera occasione di amare che gli era stata concessa. “Il Sesto – L’amore, la vita e l’immortalità di Trevor Between” della NPE, opera capace di affrontare i grandi temi dell’esistenza, di commuovere e stupire il lettore, dopo la presentazione in anteprima al Comicon, sarà disponibile a tutti a partire dal mese di maggio

Fin qui la storia, ma prometto che ne riparlerò più approfonditamente in un prossimo post (!). Come premesso, è un lavoro che ha richiesto tantissimo tempo per la sua realizzazione, ma devo dire di esserne soddisfatto. 

 Ma adesso, esaurite le formalità di presentazione, magari è un po’ più interessante parlare di quello che c’è effettivamente dietro IL SESTO. Per le presentazioni della storia ci sono i comunicati stampa; penso che, da autore, debba essere meno scontato e più penetrante. 
La prima cosa che mi viene in mente per spiegare sinteticamente cosa rappresenti IL SESTO, paradossalmente, è uno scambio di battute tra Thanos e Adam Warlock in un vecchio fumetto Marvel che lessi anni fa. Si trattava di Infinity War, o Infinity Capocchia, boh – insomma, una di quelle saghe di Jim Starlin con un botto di supereroi che per lo più non facevano un cazzo a parte comparire. Carine però. Insomma, c’era Warlock che scrutava l’orizzonte in solitaria con espressione meditabonda. Sopraggiunge Thanos e c’è uno scambio di battute tra i due che mi è rimasto impresso, anche se non ho praticamente riletto più quel fumetto da quando avevo 14 anni.

 << A cosa pensi, Adam? >>
<< Alla Vita e alla Morte.>>

Due battute, probabilmente anche abbastanza scontate, ma che per un qualche motivo mi rimasero impresse per sempre, nonostante la mia pessima memoria. Una sorta di bizzarro presagio di quello che sarebbe stato forse, davvero non so.
Dietro queste poche parole però effettivamente c’è tutto quello che bisogna sapere per affrontare la letture de IL SESTO. La Vita. La Morte. Poco altro.
Avanti veloce. Sempre diversi anni fa, ascoltai per la prima volta un disco che ritengo uno dei più belli di sempre, ovvero Dreaming Neon Black dei Nevermore. Al di là dell’estro compositivo del combo di Seattle (ma non fatevi ingannare dalla provenienza, il gruppo non ha nulla a che fare con il movimento grunge), il singer Warrel Dane è uno dei più bravi e evocativi parolieri della scena metal moderna. E in quell’album, complice anche un coinvolgimento personale nei confronti delle tematiche affrontate, dà sicuramente il suo meglio.
Sostanzialmente il disco è una sorta di concept e racconta la perdita della persona amata – scomparsa, morta, uccisa, i testi sono volutamente vaghi e non definiti –, e lo fa nella maniera più poetica, dolorosa e struggente che avessi mai sentito. Non si tratta di una compilation di ballads, beninteso, ed anzi i Nevermore sono un gruppo che suonano heavy all’ennesima potenza, ma il dolore, la sofferenza e il vuoto causato dalla “mancanza” (in senso lato) emergono in ogni riff, in ogni urlo, in ogni rullata. Accompagnate anche da un booklet evocativo e interamente realizzato dal geniale Travis Smith, le 13 tracce che compongono l’album ti trascinano in un mondo fatto di desolante tristezza, alienazione, disperata violenza.
Rimasi molto colpito dal coinvolgimento emotivo di un disco di così elevata caratura.
La Vita. La Morte. La dissonante alienazione dovuta ad una mancanza che trascenda il mero sentimento, fino a diventare un vuoto abissale.
Gli anni sono passati, ho scritto altri libri, altre storie, altri racconti, ma sin dal primo momento è stato presente in me il desiderio di provare a scrivere qualcosa di simile/accostabile a questo tipo di tematiche, ovviamente con il medium con il quale ho maggiore dimestichezza, e – altrettanto ovviamente - partendo da basi totalmente diverse.
Ho saputo sin dal primissimo momento che non sarebbe stata una storia facile. Né scriverla, né tantomeno rappresentarla graficamente – per non parlare di trovare un editore che sarebbe stato abbastanza coraggioso da pubblicarla, anche se a quello in un primo momento non pensavo affatto.
Scrivere una storia per l’amore della storia stessa. Per il solo gusto di farlo. Senza guardare a cosa effettivamente il “mercato” fosse interessato, senza stare troppo a pensare a risvolti pratici della cosa, senza riflettere sui prodotti che vengono maggiormente richiesti.
Facile non è stato facile. Ma con il tempo mi si sono affiancati gente valida che ha creduto nel progetto, in primis Andrea Mazzotta che ha supervisionato il lavoro con amorevole cura, NPE – e quindi Nicola Pesce, con il quale mi lega un affetto e una stima risalente – che ne ha curato ogni aspetto editoriale e l’ha pubblicato.
Ma soprattutto, lasciate che spenda qualche parola per la disegnatrice dell’opera, quella Francesca Follini Follini che in molti già conoscerete. Con Francesca siamo amici da tempo, e abbiamo anche collaborato in diverse occasioni. Ma non avevamo ancora trovato un progetto di ampio respiro che avrebbe potuto coinvolgerci entrambi. Paradossalmente è stato proprio IL SESTO, sul quale Francesca è entrata in corsa. E l’ha fatto subito suo, come se fosse stata lì accanto a me sin dalla creazione, come se fosse la cosa più naturale del mondo, dando prova del suo talento e – ed è la cosa che più apprezzo di lei, ma non diteglielo che poi si gasa – di personalità.
Con Francesca Follini alle matite il libro ha fatto il definitivo salto di qualità.
"IL SESTO - la vita, l'amore e l'immortalità di Trevor Between"ha fatto il suo debutto sugli stand delle Edizioni NPE in questo Napoli Comicon, alla presenza mia e di Francesca, e ha fatto registrare il tutto esaurito.
Da Maggio sarà in distribuzione.
Raccattatelo in giro e poi fateci sapere.
Secondo me non ve ne pentirete.

martedì 19 ottobre 2010

Focus on: ROCKIN' ROADS!


Lo sapevo che scomparivo per altri due mesi! Sono proprio un balordo!
E’ comunque un dolce ritorno, dato che son qui per presentarvi la mia nuova fatica: si chiama ROCKIN’ ROADS, è disegnata da Giulia Argani ed uscirà a Lucca di quest’anno per la Tunué.
La graphic novel parla di questo ragazzo di nome Davide – ma chiamato da tutti NoDave per via della sua estrema intransigenza, caratteriale e musicale – che si lascia alle spalle un passato problematico trasferendosi a Roma, dove da studente universitario non combina un granché. Si unisce però alla band metal Deconstruction, in cui suona la chitarra e vive una bella storia d’amore con un’altra musicista, Antonella.
La vita sembra lanciarlo sulla breccia, e tutte le cose sembrano dirette verso un solo fine: la realizzazione dei suoi sogni più importanti.
Questo finché da quel passato che – fondamentalmente – non lo ha mai abbandonato e la cui ombra si proiettava su qualsiasi sua scelta non fa il suo ritorno Tea, la persona che, anni prima, aveva segnato la sua vita, nel bene e nel male, rendendolo di fatto ciò che è adesso.
Questo improvviso e inaspettato ritorno ha effetti devastanti nella vita di NoDave e paradossalmente di tutti quelli che gli orbitano attorno, in una sorta di distorto effetto domino.

Questa la presentazione:
Rockin’ Roads parla di musica rock, di scelte, della volontà di realizzare i propri sogni, ma anche dell’importanza che può avere il proprio passato nel prendere alcune decisioni e del coraggio di non farsi condizionare da esso. Sullo sfondo, tantissimi riferimenti alla musica rock e heavy metal, come sentito omaggio a questo genere e a questo movimento. Il libro si rivolge a chi ama i graphic novel introspettivi, oltre che – ovviamente ‐ a chi è appassionato delle varie branche di rock estremo.
In uscita a Lucca 2010. Accattatevillo!